Riuscire a presentare tutte le persone che fanno parte di DUAL…
Tanti auguri DUAL!
Compiere gli anni è facile: basta aspettare, lasciare che il tempo scorra. Fermarsi e dire “eh, però, ne sono passati di anni, e direi che abbiamo moltissime ragioni di festeggiare” è tutto un altro discorso.
Quest’anno DUAL compie 25 anni, e i modi in cui potremmo celebrare questo traguardo sono tantissimi: festa grande in ufficio a tema “i miei 25 anni”, oppure facendoci un taglio di capelli drastico. O, meglio ancora, buttando giù mura, pavimenti, modernizzando e riorganizzando tutti gli uffici, prevedendo spazi di lavoro più ampi, aree comuni, sale per formazioni e tanto altro…
Per il momento, visto che prima delle candeline e delle sorprese c’è il classico giro dei discorsi, abbiamo deciso di partire con delle interviste. La prima non può che essere a Giuliano Bottelli, Founder e CEO di DUAL.
Intervistatrice: Partiamo subito dalla domanda chiave: com’è nata DUAL?
Giuliano: DUAL nasce da un’eredità, nel senso che mio padre, prima di me e di Francesco, aveva un’agenzia di comunicazione che aveva aperto verso la fine anni ’60. Io ho iniziato a lavorarci fin da ragazzo, entrandoci ufficialmente poi nel ‘95/’96. Il grande cambiamento è stato poi nel ’98, quando mio padre ha deciso di uscire un po’ dalla parte operativa, lasciando a me e a Francesco questo compito.
Tuttavia, in quel momento ho deciso che non avrei voluto ereditare semplicemente l’attività di mio padre; ho preferito ereditare l’idea, la cura dell’offerta dei clienti, senza però portare avanti lo stesso brand. Così abbiamo chiuso la Viscontea – questo era il nome dell’agenzia all’epoca – ed è nata DUAL.
I: Quindi è stata un’eredità di modi più che di elementi materiali, ma è stata anche un’eredità di mentalità?
G: Sicuramente ho ereditato la visione imprenditoriale, cioè l’idea che non ero fatto per lavorare per altri e che mi piaceva l’idea di costruire un’azienda, l’attività. Certo, in realtà avevo in mente di fare un paio d’anni di esperienza, magari in una grande industria, ma poi questa decisione repentina di mio padre mi ha portato a decidere in fretta. O coglievo subito l’opportunità, l’offerta, o avrei disperso l’eredità.
I: Chiudere una società, per aprirne una nuova con un nuovo brand, è comunque un’azione molto forte. È comunque un segnale di cambiamento, e un rischio, soprattutto con i clienti. Una sorta di messaggio che dice “siamo gli stessi, ma non siamo più gli stessi”, non è semplice da comunicare.
G: Inizialmente ai clienti avevamo detto che eravamo assolutamente gli stessi, ma con molte più risorse giovani. Abbiamo cercato di rassicurarli. Ma se da una parte cercavo di rassicurare i clienti che ci eravamo portati dalla società di mio padre, dall’altra avevo voglia di esplorare nuovi orizzonti. Molti, moltissimi sono falliti, alcuni sono riusciti e altri invece hanno affrontato dei cicli. Per esempio, eravamo riusciti a consolidare una partnership con una consulente che si occupava di strutturare un’offerta di gadgettistica. Lei aveva ottimi appoggi e conoscenze in Cina, e ci faceva da intermediaria, permettendoci di offrire tutta una serie di servizi di produzione personalizzata; tra valige, abbigliamento, accessori, potevamo ottenere in breve tempo – grazie a questa consulente che ci aiutava a ridurre la catena di contatti – oggetti che poi facevano la differenza nel lasciare un segno durante eventi e rapporti commerciali, sia nostri che per i nostri stessi clienti: design italiano, produzione qualitativa (è possibile se si conosce il territorio) in Cina.
Poi si è sviluppata tutta la parte dedicata al web. Eravamo in piena bolla speculativa, e inizialmente ero entrato in una società prelevando le quote di un socio che aveva deciso di ritirarsi. Avevamo anche un centro di ricerca in Svizzera e ci occupavamo di trasmissioni streaming, con calcolatori per la compressione dei file e altri strumenti che oddio, oggi sono archeologia. I nostri programmi assomigliavano molto a quello che oggi è Google Meet: non bisognava installare alcun software, ma il sistema viaggiava tramite browser. Eh, lì abbiamo sbagliato i tempi; abbiamo avuto timore di alcuni investimenti e avevamo in mano qualcosa che ancora non funzionava alla perfezione in un periodo in cui non si vedeva la necessità di quel servizio.
I: Hai parlato di lavori di design, di grafica, gadgettistica e web, ma la sezione eventi?
G: La sezione eventi era nella mia testa e nel mio cuore, perché organizzarli è stato uno dei primi lavori che ho fatto con mio padre, ed era divertentissimo. Anche se ancora non esisteva formalmente una sezione dedicata, alla fine per i clienti, tra lavori di brand identity e comunicazione, c’erano anche gli eventi.
Per noi era un banco di prova in cui tutte le dimensioni dell’Agenzia trovavano spazio per esprimere il proprio meglio: creatività in tutte le dimensioni (grafica, organizzativa, esperienziale, produttiva,…), capacità di produzione, innovazioni tecnologiche, capacità di stare in relazione con l’imprenditore, il manager, il venditore e l’addetto delle pulizie dell’hotel, lucidità e divertimento. Questa in realtà è ancora una cosa molto vera, che vale ancora oggi. Sono cambiati gli strumenti e il mix, ma alla fine la nostra ecletticità e spirito di adattamento rimangono elementi fondamentali.
Poi c’era tutta la linea delle promozioni e degli eventi dedicati, che si svolgeva in due modi: da una parte c’erano le operazioni a concorsi a premio, incentrate sulla forza vendita, mentre dall’altra c’erano le operazioni dedicate direttamente al consumo, con hostess, testimonial, etc…
Poi abbiamo anche iniziato a sviluppare con un partner esterno l’idea di una società dedicata all’organizzazione delle promozioni. Insomma, tra una cosa e l’altra, alla fine ci siamo trovati ad avere quattro società, tutte piccolissime – da tre, quattro persone al massimo – tranne DUAL, che invece era già da 14 o 15 persone.
I: E poi cosa è successo?
G: Nel 2004 mi sono reso conto che era tutto troppo caotico; società di società, scatole su scatole, un progetto imprenditoriale dentro un altro. A livello mentale era insostenibile. Così abbiamo portato in DUAL tutte le competenze e le attività che volevamo seguire e abbiamo ceduto o chiuso le società che non interessavano più.
I: Ripensando a questi 25 anni, quali sono stati i cambiamenti davvero significativi, sia in DUAL che in te stesso. Cambiamenti che magari sono avvenuti in DUAL e che hanno portato a un cambiamento tuo personale, o viceversa.
G: Direi prima di tutte l’apertura della sede di Marsala, che mi ha portato a pensare e ad accettare l’idea di avere dipendenti, collaboratori a distanza, in un territorio di cui non sapevo nulla. Quando Laura Doro, che collaborava con noi già da tempo, ci ha detto che intendeva tornare in Sicilia, lì le opzioni erano due: o perdevo una collaboratrice estremamente valida, o accettavo questo cambiamento, cambiando anche io a mia volta. Ho imparato così l’importanza della delega a persone che hanno voglia di sfidarsi e di sfidare il cambiamento, e ho anche imparato l’importanza del cogliere le occasioni per come vengono, senza aspettare che si manifesti una determinata condizione per intraprendere un passo importante.
Un altro grande cambiamento è stata l’entrata di Alessandro Rosti nella società, perché da quel momento DUAL ha smesso di essere una “cosa di famiglia”, solo mia e di mio fratello.
Poi c’è stato l’arrivo di Feliziano Crisafulli, e con lui l’inizio degli studi sulle neuroscienze e l’intelligenza emotiva. Ecco, in particolare, legato a questo c’è un episodio che ricordo mi ha cambiato molto: eravamo stati invitati a una masterclass, nel 2000, in Messico. Io e Feliziano ci siamo andati come gli ultimi arrivati, in una masterclass piena di grandi nomi legati al coaching. E ricordo che quando prendevo la parola – perché ci lasciavano intervenire, parlare, era una masterclass molto aperta agli interventi – mi ascoltavano. Mi sono reso conto che tutti i discorsi che facevamo sugli archetipi, sui nuovi modelli di marketing e sull’intelligenza emotiva applicata a esso erano interessanti per chi mi ascoltava. Rendermi conto di questo mi ha aiutato moltissimo a credere in me stesso.
Poi a cambiarmi tanto sono stati anche i meeting internazionali di alcuni nostri clienti, perché uscire e parlare in una lingua che non è la tua, con persone con una cultura diversa, in quel contesto, lascia il segno. In generale gli incontri mi cambiano molto, le persone mi cambiano molto; i tre incontri che più di tutti mi hanno profondamente cambiato sono stati quelli con Joshua Freedman, Yvette Bethel ed Alison Lalieu.
Ultimo cambiamento significativo, tra quelli che mi vengono in mente al momento, è stato il decidere di far guidare la parte digital dell’agenzia da figure giovani. Ho capito che era meglio affidarsi a persone con meno esperienza, ma più aggiornate sul momento, cariche di energia e inserite in quel mondo, che a una persona con tantissima esperienza, ma culturalmente e anagraficamente distante dagli interlocutori quotidiani del mercato (partner, clienti, fornitori,…). È stato anche un po’ come rendersi conto che dovevo anche io farmi da parte.
I: Mettere in discussione la propria posizione e il proprio ruolo in quel momento non è facile. Il dire “ok, non è più il mio momento di avere questo tipo di posizione, è meglio se io mi trasformo in qualcos’altro così da permettere all’altra persona di trasformarsi a sua volta”. Il dire “devo darmi la possibilità di cambiare e di evolvere, ma per farlo devo trasformare anche l’ambiente intorno a me in modo che possa accogliere il cambiamento che io ho intenzione di essere”. È un passo grande.
Ultima domanda: Attualmente, anche alla luce del di tutta la chiacchierata che ci siamo fatte e quale senti essere la maggiore sfida per DUAL.
G: Direi che ci sono due sfide: una interna, e ha a che fare con l’essere tutti a bordo di un progetto coraggioso, sognare insieme e far accadere quel sogno; perché mediamente c’è una grande attenzione al fare efficientemente e minore a stabilire a perseguire degli orizzonti di lungo periodo. Qui c’è anche la sfida di essere un Uno, conservando l’autenticità delle singole parti, valorizzando le unicità – quindi senza appiattire gli individui che ne fanno parte – godendosi il viaggio insieme.
L’altra è quella data dal mondo esterno, ovvero che il mercato in generale ci pone: di avere delle dimensioni ragionevolmente grandi per poter investire in questa formazione continua, in questa crescita continua, in questo cogliere l’opportunità; la grande sfida è quella di riuscire a crescere dimensionalmente in maniera ragionevolmente rapida, senza perdere però la nostra tipicità, conservando e avendo chiaro il nostro posizionamento. Questa è una sfida davvero grande.
Alla fine, dopo 25 anni, riconosco una coerenza nel percorso fatto che ci proietta verso il futuro, basato di fatto su 3 dimensioni: le relazioni, le connessioni stabili e profonde; il pensiero strategico, intenzionale che guarda al mondo con fiducia e coraggio; la volontà di avere sempre un impatto evolutivo sulla crescita e lo sviluppo delle aziende, dei brand e delle persone.
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